Il Centro Studi della nostra società è diretto dal Prof. Luca Poma, e si occupa si studi, analisi, produzione accademica e soluzioni professionali sul tema della gestione del Reputation management nella sua accezione più ampia: costruzione del perimetro reputazionale di aziende, enti pubblici e singoli leading light, e previsione e gestione di scenari di crisi reputazionale. Il Centro Studi si sta in particolare occupando del perfezionamento del più innovativo strumento di rendicontazione integrata aziendale a flusso continuo mai concepito al mondo, immaginato, costruito e testato nella sua versione Beta nel periodo dal 2008 al 2012, e da allora sempre oggetto di innovazione e miglioramento.
La rendicontazione integrata:
stato dell’arte e aspettative future
Quattro, le parole chiave del Reputation management: l’identità, ovvero il DNA dell’azienda, la sua mission, i suoi valori; l’immagine che è il riflesso dell’identità dell’organizzazione così come è percepita – anche in modo differente – dai diversi pubblici, interni ed esterni, della stessa; quindi, la reputazione, ovvero il grado di allineamento tra l’identità dell’organizzazione e la sua immagine, costruita nel tempo dall’organizzazione insieme ai suoi pubblici; da non dimenticare, infine, che la reputazione può migliorare sempre e solo se la relazione tra i soggetti è basata su criteri di autenticità.
Le organizzazioni sempre più spesso “rendicontano” ai propri stakeholder, con vari strumenti, alcuni più adeguati, altri meno. La “rendicontazione non finanziaria”, tra l’altro, è stata resa obbligatoria dal 31/12/2017, grazie alla Direttiva UE n° 2014/95/UE, per tutte le aziende da 500 dipendenti in su, limite successivamente abbassato, con la nuova CCRD nel 2023, a 250 dipendenti (in futuro verrà probabilmente ulteriormente rivisto); in realtà, sta diventando prassi corrente anche per le PMI più attente a costruire con la propria Clientela un rapporto di fiducia, in grado di condizionare positivamente i comportamenti di acquisto.
Tuttavia, la rendicontazione aziendale com’è attualmente praticata viola intrinsecamente le regole di base del Reputation management: è “agiografica”, auto-referenziale, riporta solo i successi delle aziende e non rispetta quasi mai il principio del “comply or explain”, in quanto le aziende illustrano raramente i motivi per i quali non sono riuscite a raggiungere gli obiettivi dettati dagli impegni assunti con i loro pubblici. Com’è possibile costruire fiducia in assenza del requisito – essenziale – dell’autenticità…? La relazione tra organizzazione e stakeholder è a quel punto come un fragile castello di carte, pronto a crollare alla prima crisi reputazionale: le cronache – e i Social – sono pieni di case-history di questo genere.
Le più recenti analisi sulla reportistica Corporate posizionano le aziende in due macro-categorie: imprese che cercano di soddisfare i bisogni di conoscenza espressi dai loro pubblici in modo proattivo, con sistemi di reportistica più o meno evoluti, o aziende puramente “marketing-oriented”, che ritengono superfluo ogni sforzo in rendicontazione.
Tuttavia, anche nel primo caso (aziende CSR-oriented), il controllo del flusso di comunicazione è sempre saldamente in mano all’azienda, che governa i processi di eventuale integrazione strategica della CSR, elabora gli strumenti di reportistica, e filtra i dati, decidendo sostanza e forma del contenuto del Bilancio integrato.
Il rischio di “lifting” è quindi evidente, dal momento che non esistono efficaci strumenti di controllo (i bilanci sociali raramente vengono certificati da Enti terzi); inoltre, aspetto sostanziale, si registra quasi sempre l’assenza di una sezione “Comply or explain”, nella quale l’azienda illustra gli obiettivi non raggiunti nel corso dell’anno (scostamento tra i risultati a fine anno e le attese iniziali).
L’obiettivo principale della rendicontazione dovrebbe essere:
- coinvolgere attivamente gli stakeholder esterni nel processo di redazione del bilancio integrato;
- coinvolgere attivamente i dipendenti nell’aggiornamento del cruscotto di indicatori quali-quantitativo contenuto nel Bilancio integrato, così da limitare l’effetto “lifting” da parte della Direzione/da parte degli azionisti;
- aumentare la percezione di trasparenza e di fiducia e quindi – conseguentemente – aumentare la licenza di operare concessa all’azienda dagli stakeholder;
- garantire a tutti i pubblici informazioni aggiornate sull’azienda, in modo disintermediato, 365 giorni all’anno, senza dover interpellare ogni volta l’azienda stessa;
- soprattutto, garantire informazioni sugli obiettivi non raggiunti dall’azienda.
Tutto ciò è applicato sempre solo in parte, spesso per nulla. Le aziende sono quindi oggi chiamate a un maggior sforzo in direzione della trasparenza di processo, della coerenza e della genuinità nella rendicontazione: il nostro team ha elaborato strumenti fortemente innovativi per aumentare il vantaggio competitivo delle aziende su queste tematiche.
Mappatura degli Stakeholder:
storia di un progetto d’innovazione
Uno dei progetti di rendicontazione integrata più innovativi attualmente su mercato è il “Social Hub®”: ideato e costruito in collaborazione con un team di specialisti di reputation management e comunicazione, rappresenta il più moderno esperimento al mondo – riuscito – di rendicontazione integrata online multinacanale e multistakeholder.
Si tratta di una piattaforma web che mette l’organizzazione in grado di comunicare con tutti i propri pubblici di riferimento, rendicontando ai cittadini – in tempo reale – sui progressi dell’organizzazione nell’assolvimento del proprio mandato.
Il Social Hub® è un’evoluzione nel campo degli strumenti di rendicontazione, un sfida che è punto di arrivo di un progetto sperimentale, che garantisce un flusso di dati totalmente disintermediati 365 giorni all’anno, senza soluzione di continuità, imputati direttamente on-line non dalla sola azienda, bensì anche dagli stakeholder dell’organizzazione, che collaborano attivamente all’aggiornamento di numerose tabelle inserite in un apposito cruscotto di indicatori.
Per comprendere la portata del contributo di questo modello all’evoluzione delle buone prassi nel settore della rendicontazione integrata, occorre approfondire alcuni aspetti legati alla storia della Logica.
Il sistema normalmente applicato a tutti gli strumenti di rendicontazione è quello della “logica Aristotelica”: in logica classica, il principio di non contraddizione afferma l’incongruenza di ogni affermazione la quale implichi che una certa proposizione “A” e la sua negazione – diciamo la proposizione “non-A” – sono allo stesso tempo entrambe vere. Aristotele infatti diceva che “…non è lecito affermare che qualcosa sia e non sia nello stesso modo ed allo stesso tempo…”. Ne deriva che – in base a questo paradigma – vi è un esatto punto oltre il quale un pubblico non è più di interesse dell’organizzazione. O si è stakeholder, o non lo si è: ciò che c’è oltre l’ipotetica linea di demarcazione, non deve minimamente interessare l’organizzazione, che in questo modo – però – pone di fatto un limite alla propria stessa licenza di operare.
Agli inizi dei ruggenti anni ’60, all’Università di Berkeley, Lotfi Zadeh, un Professore molto noto per i suoi contributi alla teoria dei sistemi, si convinse che le tecniche tradizionali di analisi di tale teoria erano così schematiche e “precise” da risultare inadeguate a descrivere molti dei problemi tipici di quell’epoca di forte rinnovamento. Zadeh elaborò una nuova teoria, che alcuni percepirono inizialmente in contraddizione con la logica aristotelica – e ne nacquero accese discussioni accademiche! – ma che invece si rivelò essere, come vedremo, una sua evoluzione dettata dallo sviluppo dei tempi e del pensiero: la logica “ad infiniti valori di verità”, basata sul concetto di “insiemi sfumati”, anche conosciuta come “logica fuzzy” (da indeterminato, sfumato, sfocato). Si tratta di un approccio alla logica in cui si può attribuire a ciascuna proposizione un grado di “verità variabile” compreso tra un valore 0 ed un valore 1. Quest’intuizione, utilissima per spiegare molti fenomeni moderni, era stata tratteggiata già prima da ricercatori del calibro di Bertrand Russel ed Albert Einstein, ma venne codificata in modo articolato per la prima volta proprio dal Prof. Zadeh.
Quando parliamo di grado di verità o valore di appartenenza intendiamo dire – disorientando forse un po’ le nostre mentalità cartesiane, pregnate dal concetto “o e vero o è falso, o è bianco o è nero” – che una certa proprietà oltrechè essere vera (cioè con valore 1) o falsa (cioè con valore 0) come prevede la logica classica, può anche essere contraddistinta da valori intermedi: vero è che “o si è vivi o si è morti” (valore 1 o valore 0) ma altrettanto vero è che – in logica fuzzy – si può assegnare ad un neonato valore 1, ad un ragazzo appena maggiorenne valore 0,8, ed a un anziano pensionato settantenne valore 0,15. Detta così può apparire banale, ma la codificazione di questa riflessione sotto forma di algoritmi matematici avviò una vera e propria rivoluzione nel mondo della logica moderna.
Abbiamo quindi applicato i concetti su esposti alla Responsabilità Sociale delle imprese, elaborando un nuovo tipo di procedimento per mappare gli stakeholder basato sull’assunto che “tutti sono stakeholder”, semplicemente con infiniti e sfumati valori di coinvolgimento. La mappa così concepita, è uno strumento innovativo per la lettura dei fenomeni nei quali viene coinvolta l’Organizzazione e delle dinamiche di comunicazione e interazione con i nostri pubblici. Laddove tradizionalmente, l’azienda era infatti rappresentata “al centro”, con intorno all’azienda, collegati da una linea ciascuno, i vari portatori d’interesse, questa nuova mappa degli stakeholder utilizza un diagramma cartesiano a 4 quadranti: nessuna correlazione tra l’Organizzazione e gli stakeholder, Organizzazione dominante sullo stakeholder, stakeholder dominante sull’Organizzazione, e – infine – interconnessioni reciproche e forti.
La nostra modalità di rappresentazione dei rapporti tra l’Organizzazione e i propri pubblici va ben oltre l’aspetto meramente grafico, e finisce per coinvolgere nel profondo l’aspetto filosofico di questa materia: l’Organizzazione è rappresentata come una “texture di fondo” sulla quale “si appoggiano gli stakeholder, a raffigurare l’esatta “coincidenza” di obiettivi e desideri tra la prima e i secondi, enfatizzando visivamente Il modo con il quale percepiamo il nostro ruolo nei confronti del pubblico e intendiamo rapportarci – nel senso più ampio del termine – a ciò che ci circonda.
L’azione di input verso uno stakeholder, finirà per generare una rielaborazione di informazioni anche all’interno del perimetro dello stakeholder stesso, modificando in parte il suo DNA, e queste modifiche finiranno inevitabilmente per produrre alterazioni all’interno del perimetro dei pubblici d’interesse del nostro stakeholder, applicando così alle dinamiche tra Organizzazione e stakeholder il principio che sta alla base delle reti neurali.
Nelle “reti neurali artificiali”, al termine di ogni fase del processo di apprendimento, il nodo avente un vettore di pesi più vicino ad un certo risultato desiderabile è considerato il nodo “vincitore”, e tutti i pesi sono aggiornati automaticamente in modo da avvicinarli a tale valore. Dato che ciascun nodo ha un certo numero di nodi adiacenti, quando un nodo vince una competizione, anche i pesi dei nodi adiacenti sono modificati, secondo la regola generale che più un nodo è vicino al nodo vincitore tanto più marcata è la variazione dei suoi pesi. Questo è ciò che succede in una mappa di stakeholder, laddove una buona prassi ha alte probabilità di venir adottata da tutto il network e diventa quindi il nuovo valore di riferimento.
Il tipo di mappa evoluta ideato sulla base di questo modello è quindi un tentativo per codificare graficamente questi concetti: ci sentiamo così strettamente connessi ai nostri pubblici, da arrivare ad affermare che l’Organizzazione non ha relazioni con i propri stakeholder, l’Organizzazione “è” i propri stakeholder, e gli stakeholder sono l’Organizzazione, perché come Organizzazione siamo parte integrante di uno scenario sociale complesso, con una missione che va ben al di là del mero coinvolgimento dei “pubblici di prossimità”.
Anche il posizionamento dei pubblici sulla mappa non è affatto “casuale”, bensì è frutto della compilazione di dettagliate “checklist” da parte degli stakeholder stessi e dei loro referenti all’interno dell’azienda, i cui risultati determinano, mediante l’assegnazione di un valore numerico da -5 a +5 (e relative frazioni decimali), il posizionamento dell’icona rappresentante uno specifico pubblico in un preciso punto dello schema, secondo appunto la misurazione dell’“influenza” dello stakeholder sull’organizzazione e viceversa.
Ogni stakeholder è quindi durante l’anno oggetto di specifiche strategie e azioni di comunicazione, elaborate “ad hoc” dal nostro team e tendenti a generare il cambiamento nella relazione necessario per spostare lo stakeholder – ovviamente – sempre più verso il riquadro delle “interconnessioni forti” tra l’Organizzazione e lo stakeholder stesso…
Il più innovativo modello
di rendicontazione integrata:
il “Social Hub®”
Successivamente, dopo aver sperimentato con successo questo modello di mappatura degli Stakeholder su un azienda leader in Italia nel proprio settore, gli esperti con i quali collaboriamo si sono posti un’ulteriore domanda: se la posizione più appetibile è – come abbiamo sottolineato – quella delle interconnessioni forti, non è anacronistico un sistema di reportistica confezionato esclusivamente dall’azienda, flusso unilaterale di informazioni, non sottoposto a controlli esterni, se non – nel migliore dei casi – a una mera “conferma di congruità formale” da parte di qualche società di certificazione?
Come gli esperti del nostro Centro Studi denunciano da tempo, i classici bilanci sociali sono spesso documenti agiografici, redatti dalle aziende alla fine dell’anno, più volte di quante si pensi oggetto di “lifting”, e riportanti sempre solo pluspoint e quasi mai criticità. Un sistema obsoleto, non trasparente, non condiviso con quegli stessi stakeholder che predichiamo sempre essere – a parole – “fondamentali” per il buon fine della missione stessa dell’Organizzazione.
In risposta a queste istanze, nasce il “Social Hub®”: una piattaforma web sperimentale frutto di un processo di condivisione dei contenuti con i vari pubblici aziendali, che collaborano attivamente per l’intera fase di redazione del documento di rendicontazione dell’Organizzazione, “emendando” periodicamente il testo stesso del bilancio; ogni stakeholder può interagire direttamente con la piattaforma, modificando i dati quali-quantitativi del bilancio relativi al proprio rapporto di collaborazione/partnership/sponsorship con l’organizzazione, “costruendo” con essa il Bilancio integrato.
L’Organizzazione e i suoi stakeholder dispongono quindi di una rendicontazione agile, facilmente accessibile, chiara e trasparente; solo online, perchè non percepiamo più – da alcuni anni – alcun valore aggiunto dalla stampa di un supporto cartaceo. Inoltre, lo strumento si rivela un prezioso strumento per permettere all’azienda di individuare precocemente segnali deboli di crisi e sacche di inefficenza.
Il bilancio integrato così concepito – frutto di svariati anni di lavoro per l’adattamento del modello teorico che l’ha ispirato – è stato dotato di un “cruscotto di indicatori” di oltre 60 tabelle – con relativa parte testuale – i cui dati sono aggiornati man mano durante l’anno direttamente dai vari reparti aziendali, senza alcuna “mediazione” da parte degli azionisti.
Si è trattato del primo esperimento al mondo di bilancio integrato online 365 giorni all’anno. Questo progetto di condivisione e di totale disintermediazione tra l’organizzazione e i suoi pubblici, permette ai cittadini di accedere durante tutto l’anno ai dati grezzi e non “trattati” o commentati dall’organizzazione, per farsi una propria personale idea dell’andamento delle attività societarie.
Questo modello, già collaudato in Italia, rappresenta un viaggio affascinante, oltre una nuova frontiera della sostenibilità e della rendicontazione trasparente, consci del fatto che non sempre “nuovo” è sinonimo di “pericoloso”, dal momento che i nuovi scenari della comunicazione vanno necessariamente governati. Nel contempo, è quasi una “provocazione”, per le aziende decise a aprire i propri cancelli sulla base di principi di autenticità e trasparenza, e a sfidare il domani con ottimismo e senza paura. La nostra società dispone dei diritti d’uso di questo modello di business nel nostro Paese, ed è disponibile ad accompagnarvi con entusiasmo in un percorso finalizzato ad aumentare esponenzialmente il Vostro vantaggio competitivo verso la concorrenza.
Credibilità di Indici e certificazioni ESG,
e fiducia dei consumatori:
la nostra ricerca per il Parlamento Europeo
Lo scenario competitivo è caratterizzato dalla circolazione sempre più libera di persone, beni e capitali, filiere di fornitura lunghe e frammentate su scala globale e uno spazio geografico degli scambi e degli investimenti sempre più ampio. Cresce la domanda di informazioni di natura non finanziaria – credibili e affidabili – sulla reputazione dell’impresa.
Questo richiede – anche per effetto del quadro normativo emergente – nuovi approcci, metodi e standard nella preparazione e divulgazione di informazioni sui rischi non finanziari, oggi denominati sempre più frequentemente “rischi ESG”.
Su queste premesse, nasce il la nostra ricerca, con lo scopo di:
- intercettare punti di forza e di debolezza delle prassi attualmente utilizzate dalle aziende nell’attività di rendicontazione di sostenibilità;
- sollecitare l’individuazione di uno standard condiviso per validare i risultati delle performance aziendali in tema ES
- stimolare un dibattito per il miglioramento della qualità informativa di questa importante forma di rendicontazione.
Il lavoro si innesta, infatti, nello sforzo sostenuto dall’Unione Europea per promuovere una cultura della sostenibilità non solo tra cittadine e cittadini comunitari, ma anche all’interno delle PMI come pure dei grandi gruppi aziendali, ed è stato commissionato dall’On. Tiziana Beghin (Deputata al Parlamento Europeo – Non Iscritti)
L’analisi rappresenta una fotografia degli approcci, metodi e standard nella rendicontazione degli aspetti non finanziari utilizzati dalle aziende nell’attività di rendicontazione delle performance aziendali in tema ESG: ad esempio, il 70,00% delle aziende che hanno risposto di avere bilanci di sostenibilità convalidati da una società di certificazione ha indicato che il lavoro di quest’ultima si è basato sul l’analisi di documenti ed evidenze prodotte dall’azienda stessa, evidenziando come parrebbe non esservi stato alcun audit da parte di uno specialista che abbia verificato la genuinità e veridicità delle affermazioni ed evidenze prodotte (tanto che solo il 25,00% del campione ha affermato di essersi sottoposta ad uno specifico audit svolto in azienda). Sono inoltre state raccolte cinquecento risposte, un numero considerato statisticamente significativo anche per diversificazione del campione, che riflettono l’opinione della popolazione italiana sulla sostenibilità aziendale e sulla genuinità delle asserzioni etiche delle imprese, in particolar modo approfondendo gli aspetti cosiddetti “S”, quelli per l’appunto sociali, in un’ottica di verifica delle dichiarazioni delle imprese circa l’intero insieme dei claims di sostenibilità: interessante notare come oltre il 60% degli interessati neppure conosca il significato del termine “ESG”, ancorché alla domanda su quanto fosse importante per gli intervistati l’adozione di pratiche che permettano all’azienda di essere realmente sostenibile, la maggioranza (circa l’80%) abbia risposto “molto” o “moltissimo”.
Il lavoro ha quindi evidenziato – tra i molti dati di interesse – da un lato la percezione di complessità della normativa UE esistente, e di nuova promulgazione, sul tema della validazione delle asserzioni etiche e della certificazione delle rendicontazioni di sostenibilità, considerate da un numero significativo di aziende come di non semplicissima interpretazione e soprattutto come un ulteriore carico burocratico, invece che – come dovrebbe essere – un’opportunità per aumentare il vantaggio competitivo costruendo buona reputazione e orientando positivamente i comportamenti di acquisto dei cittadini; dall’altro, l’analisi ha evidenziato la non sufficiente fiducia del pubblico circa le stesse asserzioni etiche delle aziende, spesso frutto – nella percezione degli utenti – di auto-dichiarazioni a lampante rischio di greenwashing.
Il testo integrale della ricerca, in lingua italiana, è disponibile a questo link
La ricerca è anche disponibile in lingua inglese a quest link
Si possono anche consultare le slides usate per presentare i dati salienti della ricerca
La ricerca è stata presentata al Parlamento Europeo il 7 giugno 2023, in un incontro – presieduto dall’On Beghin – in ui hanno preso parola diversi esperti del settore, commentando i risultati della ricerca stessa e dando un interessante contributo al dibattito. Ecco il video integrale dell’evento: