Reputation Management
In una delle sue celebri “lezioni americane”, “Exactitude”, l’indimenticabile Italo Calvino si concentra sulla “forza della parola” e – per contro – sulla crescente banalizzazione del linguaggio nei tempi moderni. Le parole sono come un abito, che dà forma ai nostri pensieri, e ci permette di decidere come desideriamo essere percepiti da tutti i pubblici con i quali entriamo in contatto. Il più importante asset intangibile per un’organizzazione economica è la reputazione, che è concretamente in grado di condizionare i comportamenti di acquisto di prodotti e servizi. Le persone oggi si sentono sempre più libere di manifestare la propria opinione, e hanno la piena consapevolezza di “essere parte dell’equazione globale”: possono limitare il perimetro reputazionale di un’azienda, una banca, o un Ente pubblico, come anche di un personaggio influente, che sia esso l’Amministratore Delegato di un’azienda, un Ministro o un artista, riducendo tangibilmente la loro capacità di operare. Quante organizzazioni hanno elaborato un progetto di reputation management in grado di traghettarli dal “modo in cui sono percepiti ora” al modo in cui desiderano essere potenzialmente percepiti dai propri stakeholder?
Le organizzazioni – siano esse aziende, ONG, enti pubblici, politici e influencer – dovrebbero quindi farsi carico di precise preoccupazioni, al fine di tentare di ottenere valutazioni quanto più possibili positive nel loro ecosistema reputazionale: adottando strategie efficaci per proteggersi dai rischi di erosione della reputazione; investendo risorse per migliorare la percezione della propria responsabilità sociale con gli stakeholders; misurando e monitorando la qualità e quantità delle interazioni con i propri pubblici; tenendo i canali di comunicazione sempre aperti al fine di mantenere tutti gli stakeholder – analisti e partner finanziari in testa – quanto più possibile informati sullo stato della propria reputazione, che – confermano gli studi – ha un impatto concreto sul valore di mercato delle organizzazioni stesse.
Digital PR
Il periodico britannico Observer ha pubblicato la foto di una protesta popolare, uno striscione esposto dai cittadini in piazza, con scritto: «Siamo tutti social network». Questo è incredibilmente vero, perché grazie al web le interconnessioni quotidiane tra persone hanno raggiunto livelli non più ignorabili. Ma quante organizzazione economiche dispongono di un piano realmente funzionale per gestire la propria presenza sui Digital media e sui Social network? I cittadini vogliono sentirsi unici: facciamoli sentire importanti. Perché lo sono: da essi, da ciò che pensano del vostro marchio e della Vostra attività professionale, dai giudizi che esprimono agli amici e colleghi e poi postano su internet, dipende buona parte del successo o insuccesso di qualunque prodotto o servizio, e queste variabili – in grado di influenzare tangibilmente e velocemente l’indice reputazionale di qualunque organizzazione economica – sono vitali. In un mondo iper-connesso, i motori di ricerca sono i gestori più importanti della reputazione, premiando o punendo i comportamenti con un sistema di posizionamento che influenza le future ricerche sulla vostra organizzazione.
Istituzioni Pubbliche
e Decisori
Il reputation management 2.0 implica la ricezione dei commenti in modo aperto e il coinvolgimento dei vari pubblici verso il miglioramento della percezione che hanno di Voi: i cittadini sono il Vostro potenziale e più prezioso alleato, che può aiutarvi a migliorare la vostra reputazione e quindi il Vostro grado di influenza sulla Società. O peggiorarla irrimediabilmente, se – ad esempio – il fronte reputazionale non è adeguatamente presidiato. Quanti decisori dispongono di un piano strategico di comunicazione, e di un presidio in tempo reale – h 24 e 7 giorni su 7 – dei propri “digital body”, completato da un piano di gestione delle crisi reputazionali potenziali?
Transmedia #Storytelling
Questo termine sta entrando prepotentemente nel vocabolario degli addetti ai lavori: non solo rappresenta il futuro – anzi, ormai il presente – del narrare storie create dalle aziende, ma esprime il potere della cultura contemporanea che tende a fondere l’esperienza delle aziende con quella dei fruitori, in una perfetta sintesi. Un processo per cui si generano nuove “trame” e si aprono nuovi mercati partendo dalla circolazione dei contenuti e delle idee che gli stessi Clienti finali creano attorno a un prodotto, un servizio o un marchio. L’era della mera trasmissione unilaterale di contenuti – senza curarsi dell’impressione e delle idee del proprio pubblico – è ormai alla fine: occorre lavorare su sistemi che prevedano un feedback istantaneo nonché strumenti di narrazione collettiva, perchè gli utenti non solo vogliono poter “dire la loro” sulla storia narrata dal marchio – cosa che ormai viene data assolutamente per scontato – ma vogliono anche poter influenzare gli imprenditori; di fatto la “storia di successo” è solo quella che gli autori “abbandonano” come un guscio di noce nell’oceano della creatività del pubblico dei fruitori. Questo è un territorio nuovo, in cui produzione e consumo scambiano i propri ruoli e discutono le proprie ambizioni, mostrandosi specchio di un’era interconnessa, votata alla vera partecipazione 2.0. Sempre più aziende stanno inoltre lavorando per creare community di marca: è di gran lunga la più ardua da creare, ma è anche potenzialmente lo strumento in grado di ricompensarvi di più. Creare una community significa offrire una piattaforma ai vostri pubblici dove possano discutere, condividere, imparare, incontrare persone dalle idee affini. Servono idee chiare, design attento, pazienza, empatia e presidio costante: la ricompensa consisterà in una schiera di cosiddetti “evangelisti”, i più attivi sostenitori del vostro marchio, disponibili anche a battersi per difenderlo. Non è affatto semplice creare community frequentate, ed è molto difficile farlo senza un supporto professionale, ma il ritorno concreto dell’investimento è non solo tangibile ma anche misurabile…
Crisis Management
Quando è più evoluto, il Reputation management muove dalla considerazione che è funzionale prevedere scenari e prepararsi a fronteggiarli efficacemente, piuttosto che subirli e intervenire a posteriori per risolvere delle emergenze, e in tal caso prende le sembianze del Crisis-management e si serve delle tecniche proprie di quella disciplina. Questo è un altro filone di riflessione legato alla reputazione sistematicamente dimenticato: quello delle crisi reputazionali potenziali. Con l’avvento delle tecnologie 2.0 e l’affermarsi della portata globale di Internet, l’impatto locale si fa globale: ad esempio, ciò che viene considerato localmente come un comportamento pregiudiziale per la reputazione, può danneggiare un marchio su scala assai più ampia. Il modo in cui le informazioni si propagano, e in cui un evento pregiudizievole per la reputazione e per le vendite è “governato”, sono fattori spesso più rilevanti della crisi stessa. Eventi di per se poco significativi possono essere ingigantiti, e situazioni che nulla hanno a che fare con con la vostra organizzazione possono avere riflessi molto negativi sulle vendite, oppure eventi gravi e drammatici – anche se statisticamente poco frequenti – possono colpire e danneggiare la reputazione della Vostra azienda, limitando considerevolmente il vostro raggio di azione. a corretta gestione – preferibilmente “preventiva” – delle crisi reputazionali, diventa quindi uno strumento fondamentale per evitare che la professionalità e la dedizione che un manager o un imprenditore hanno profuso per molti anni possano essere vanificate o messe in discussione a causa di una situazione reputazionale mal gestita. I riscontri in grado di confermare l’adagio popolare sulla “stipula” della polizza furto per l’abitazione solo dopo la prima “visita” da parte dei rapinatori, sono numerosissimi in Italia, paese purtroppo a “bassa sensibilità” sul tema della previsione delle crisi reputazionali. Peccato che quando il problema è deflagrato, sia quasi sempre troppo tardi per gestirlo con efficacia…
Responsabilità Sociale
Il Libro Verde della Commissione Europea definisce la Responsabilità Sociale d’Impresa come “l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Il Premio Nobel Milton Friedman, negli anni ’80 dichiarò che l’unica azione “socialmente responsabile a carico di un’azienda sarebbe stata pagare le tasse”. Il tempo ha mutato profondamente questo concetto, e oggi la globalizzazione ha generato nuove preoccupazioni e aspettative nei consumatori, nelle comunità, nelle autorità pubbliche, negli investitori. Le aziende sono fortemente radicate e “connesse” con il territorio dove operano e con la società in generale, spesso molto più di quanto l’imprenditore stesso riesca a percepire. Prendere atto di ciò significa inevitabilmente assumersi responsabilità nuove, che in passato non erano proprie della normale vita aziendale. Ma – come sempre – le novità devono e possono essere “governate”, e da ciò che può apparire un nuovo problema possono nascere opportunità interessantissime. Alle aziende non viene più solo chiesto di “macinare utili” o di far bene il proprio lavoro: i vertici aziendali sono chiamati in causa su tematiche quali la riduzione della povertà, l’impegno sociale ed ambientale, la qualità della vita. Le aziende oggi devono fare i conti con un mercato veramente globale – non solo in senso geografico, come è noto da decenni – bensì in quanto “parte della rete neuronale” della società in cui operano. Assolvere al proprio impegno in termini di social responsibility non significa pubblicare un bilancio sociale con un mero elenco di azioni di beneficenza: il tempo in cui bastava “fare del bene” e raccontarlo in qualche comunicato stampa prima di un elegante rinfresco per i giornalisti, è definitivamente tramontato: Le imprese sono parte di una rete complessa, che a livello planetario pone in relazione ognuno di noi con l’altro, ogni istituzione con un’altra istituzione, ogni azienda con le altre aziende, e tutti questi elementi organicamente tra loro. Solo la valorizzazione di questi rapporti – a partire ovviamente da quelli “di prossimità”, e in modo graduale e “sostenibile” per l’imprenditore stesso – può garantire un ritorno sull’investimento per gli azionisti veramente significativo e duraturo…
Rendicontazione Integrata
a Flusso Continuo
La CSR si fa evoluta e digitale. Grazie a un accordo di ricerca e sfruttamento di diritti intellettuali con uno dei massimi esperti in Italia di questo settore, abbiamo costruito il primo “Social Hub®” al mondo, basato su un progetto nato nel 2008 e sviluppato per anni, sotto forma di “cantiere aperto”, in varie versioni “beta”, fino al lancio pubblico della piattaforma: si tratta di un bilancio integrato aziendale, online 365 giorni all’anno, costruito non solo dall’azienda, bensì anche dai vari stakeholder di essa, senza quindi alcuna possibilità di “lifting di fine anno”. In questo scenario, l’eventuale pubblicazione di dati negativi diventa immediata analisi di criticità ed emersione di sacche di inefficienza, altrimenti passate inosservate. Niente più “agiografia” e buonismo tipici dei bilanci sociali “vecchia maniera”: le cose come stanno, in modo trasparente, con numeri e dati consultabili dai cittadini in qualunque momento dell’esercizio, così da costruire concretamente reputazione basata sul costante e proficuo dialogo con i pubblici dell’azienda, al fine di costruire fiducia e orientare così i comportamenti di acquisto…
Media Relation
Tutte le attività di Reputation management possono e dovrebbero essere declinate in modalità multi-canale: uno degli strumenti privilegiati – ancorché non l’unico, – per la diffusione delle notizie e il conseguente consolidamento del perimetro reputazionale delle aziende e delle organizzazioni pubbliche, è certamente quello dei mass-media mainstream: TV, radio e giornali, anche attraverso le agenzie di stampa nazionali. Il focus, dal punto di vista del Reputation manager, non è certamente solo sul profilo quantitativo, come troppo spesso è per i normali addetti stampa, ma anche e soprattutto su quello qualitativo: il rafforzamento della reputazione e l’orientamento positivo dei comportamenti di acquisto a favore del brand non passa necessariamente attraverso una “bulimia” di articoli, bensì attraverso un’attenzione forte alla individuazione, selezione e costruzione dei contenuti, e da li alle testate sulle quali approdare, senza trascurare – ex post – l’attenzione da riservare all’impatto e all’effetto degli articoli sui cittadini in termini di sentiment, con la capacità di monitorare e gestire sollecitamente eventuali criticità (commenti negativi od ostili), specie negli ambienti digitali. Come partner qualificato per questo genere di attività, dopo anni di ricerche dagli esiti alterni, abbiamo con convinzione selezionato ESPRESSO, dinamica realtà di Milano che condivide con noi una visione “circolare” e strategica alla comunicazione corporate finalizzata alla costruzione della reputazione.
Media Training
L’Italia com’è noto è – purtroppo – un Paese “a bassa sensibilità” sul fronte delle crisi reputazionali: si tendono ad assumere provvedimenti solo a crisi conclamata e in corso, fuori tempo massimo per poter essere realmente incisivi e governare gli eventi avversi per il brand. Uno dei fronti più spesso scoperti da questo punto di vista e l’individuazione e la formazione di un Portavoce aziendale (una figura di vertice, a volte il CEO, a volte un manager di sua fiducia) che ricoprirà il ruolo di frontman dinanzi ai giornalisti, alle autorità e più in generale all’opinione pubblica, qualora dovesse deflagrare una crisi reputazionale. La formazione di questa figura, e delle “prime linee” aziendali, si sostanzia in un percorso articolato, che per ovvie ragioni non deve e non può essere improvvisato: prendersi cura di questo aspetto per tempo tutela il valore degli azionisti e aumenta la resilienza dell’azienda.
La verità è che tutti comunichiamo, quotidianamente, nel lavoro e nella vita, ma – nonostante ciò – pochi conoscono i principi fondamentali che governano una comunicazione efficace, e ancor meno sono coloro che si esercitano adeguatamente nell’uso di tali principi. Proprio come accade per molte altre attività umane, anche la comunicazione ha precise regole e criteri di esecuzione, ma non è sempre istintivo e naturale applicarle: nel loro insieme, essi sono i fondamentali della comunicazione stessa. Il termine “fondamentali” è stato scelto dai ricercatori in analogia a quanto avviene nello sport: ogni disciplina sportiva ha infatti una serie di precisi gesti tecnici che devono essere conosciuti ed imparati con attenzione per poterla praticare con successo. In ambito aziendale, una comunicazione gestita con fondamentali scadenti ha elevate probabilità di non essere recepita correttamente, causerà irritazione e potrà addirittura innescare atteggiamenti di mancanza di disponibilità alla collaborazione, con inevitabile conseguente danno in termini di produttività.
Secondo una ricerca svolta dalla Holmes Report su un campione di circa 400 aziende americane e inglesi di grandi dimensioni, i danni economici attribuibili a comunicazioni scadenti e scarsa conoscenza delle procedure e delle policy aziendali, sono stati, in un solo anno, pari a circa 37 miliardi di dollari, con un costo complessivo medio, per azienda, di circa 62 milioni di dollari; per contro, laddove manager e personale aziendale hanno maggior capacità comunicative, si registrano ritorni finanziari nettamente maggiori.
La nostra società ha costruito – in collaborazione con un team di ricercatori scientifici – un tool-kit efficace per la formazione dei key-man delle organizzazioni private e pubbliche, mettendo a terra anni di ricerche su questi argomenti, ed elaborando un peculiare modello di approccio alla formazione – immersivo e altamente professionale – funzionale ad addestrare i vertici dell’azienda a resistere alle pressioni e allo stress tipici di una situazione di crisi, governando al meglio i flussi di comunicazione, ed a maggior ragione efficaci nella vita aziendale di tutti i i giorni.
Quando un CEO e la sua organizzazione conoscono e usano correttamente i fondamentali comunicativi, è possibile osservare insospettabili miglioramenti di resa ed efficienza, che possono venir esportati fuori dall’ambiente aziendale e di lavoro, riflettendosi positivamente all’esterno in termini di immagine, influenza esercitata ed aumento della “licenza di operare” dell’organizzazione.