L’analisi del Reputation Insitute americano dal titolo “Reputazione, valore e performance finanziaria”, ripresa nel volume “Il reputation management spiegato semplice” (Poma, Grandoni, 2021) conferma l’esistenza di una correlazione statisticamente significativa tra la performance operativa di una società e la sua reputazione, come viene percepita dai diversi stakeholder. Secondo questi dati, la percezione dei cittadini e di altri stakeholder qualificati (analisi finanziari, mass-media, etc) ha un impatto significativo sul valore di mercato dell’organizzazione, al di sopra degli effetti previsti di performance operativa. Il Rep Institute stima che, in media, una variazione di 1 punto nell’indice reputazionale dell’azienda (misurato dal loro indice RepTrak®) vale circa il 2,6% del valore di mercato dell’azienda stessa. Le organizzazioni – che siano esse aziende, ONG, enti pubblici, influencer, etc – generano dovrebbero quindi farsi carico di precise preoccupazioni al fine di tentare di ottenere valutazioni quanto più possibili positive nel loro ecosistema reputazionale. adottando strategie efficaci per proteggersi dai rischi di erosione della reputazione, investendo risorse per migliorare la percezione della propria responsabilità sociale con gli stakeholders, misurando e monitorando la qualità e quantità delle interazioni con i propri pubblici, e tenendo i canali di comunicazione sempre aperti al fine di mantenere tutti gli stakeholder – analisti e partner finanziari in testa – quanto più possibile informati sullo stato della propria reputazione.
Peraltro, esaminando un database dettagliato delle valutazioni mensili raccolte nei Paesi Bassi nell’arco di 5 anni, gli analisti del Reputation Institute hanno dimostrato che la percezione del pubblico nei Paesi Bassi ha avuto un effetto maggiore del 5,65% sul valore di mercato, un effetto circa il doppio di quello evidenziato analizzando le società Statunitensi, mercato, quello USA, più attento alle performance finanziarie pure, confermando che le società europee sembrano essere più pesantemente influenzate da criteri immateriali legati alle performance “sociali” delle aziende.
L’Istituto ha anche creato un portafoglio composto dalle 10 società più quotate ogni anno dal punto di vista reputazionale: i risultati nel periodo di tempo considerato (10 anni) dimostrano che un investimento di $ 1.000 distribuito equamente tra le azioni delle prime 10 società per buona reputazione, sarebbe valso 10 anni dopo $ 3.025, con un rendimento migliore del 50% rispetto all’indice Dow Jones ($ 2.053), all’indice Russell 3000 ($ 2.030) e all’indice S&P 500 ($ 2.010), sovraperformando quindi rispetto alle medie di mercato.
Analisti francesi hanno poi esaminato le performance di un portafoglio delle aziende più quotate nelle classifiche RepTrak®: anche in questo caso, i risultati mostrano che il portafoglio delle aziende “top performer” in reputazione ha costantemente sovraperformato l’indice francese CAC 40 di quasi il 70% nei dieci anni esaminati. Stesso dicasi di un analisi svolta sulle banche Svizzere, alcuni anni fa: esaminando la performance di mercato già nell’ormai lontano 2016, i dati hanno evidenziato che un investimento di $ 1.000 nel gennaio di quell’anno su un portafoglio di banche con reputazione più elevata avrebbe generato un ROI sorprendente per gli investitori, superiore di un 30% rispetto a quello del portafoglio con reputazione inferiore, e del 10% superiore alla media di tutte le banche nel loro insieme. E – da allora – la sensibilità dei mercati sul tema della reputazione non ha fatto che aumentare ulteriormente.
Stesso dicasi invertendo l’ordine di lettura dei dati: in fondo alla lista, dal punto di vista reputazionale, vengono segnalate Comcast, Philip Morris International e Monsanto, esempi di aziende con problemi di reputazione le cui deboli percezioni del pubblico pregiudicano il loro valore finanziario – secondo gli analisi – di oltre un terzo.
I più ottimisti tra gli analisti stimano che circa il 40% della performance di mercato di un’azienda può essere influenzata da fattori non strettamente finanziari riconducibili all’ecosistema della reputazione (Tesoro Tess, 2020), includendo in queste le raccomandazioni degli analisti, le prestazioni sociali, l’esposizione sui media e le percezioni del pubblico generico. Le analisi empiriche di specifici case-study come ad esempio il Dieselgate di Volkswagen o Cambrige Analytica di Facebook riducono questo impatto al 30% (Poma, 2015). Seppure la criticità più evidente pare essere – attualmente, perlomeno – l’assenza di criteri univoci di analisi e lettura dei dati, un’unica certezza pare invece essere consolidata: buona reputazione è uguale a denaro, più alti utili per gli azionisti e maggiore resilienza delle aziende nel resistere alle crisi, proprie o sistemiche.